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Kisangani (Zaire), Aprile 1989
By admin | aprile 1, 1989
S H A L O M…sui passi di chi costruisce la P A C E !
Kisangani (Zaire), Aprile 1989
Carissimi,
questa lettera doveva nascere nella quiete di una cappella costruita da poco nel territorio di Api. La gente mi aspettava per la benedizione e la festa tradizionale, ma si è dovuta accontentare di un laconico messaggio: «Il padre Gianni è stato chiamato in tribunale; verrà appena possibile».
Immagino il loro stupore. Come mai si portano in tribunale i Padri? Cosa hanno combinato di grave?
Me lo sono chiesto anch’io quando sono stato convocato da un Avvocato sconosciuto. Mi trovavo a Isiro per una delle tradizionali visite che sono occasioni per fare i nostri rifornimenti e compiere alcuni servizi utili alla Provincia. Ho accettato l’invito.
L’avvocato Baimo si è presentato come il portavoce della famiglia del dottor Farizala, il medico che, dopo aver lavorato a Ango per alcuni anni era morto nel maggio dell’87.
Un incidente come tanti altri che capitano in Africa; ma con un particolare: l’auto nella quale il dottore viaggiava apparteneva ai missionari bianchi. Per la famiglia è bastato questo dettaglio per trasformare la morte di un fratello di sangue in una possibile occasione per fare soldi.
Una constatazione amara, ma reale.
L’avvocato mi ha posto il dilemma: o accettare una conciliazione amichevole sulla base di circa dieci milioni di lire, o andare in tribunale. Mi ha impressionato da un lato la calma e la gentilezza del linguaggio e dall’altra la fermezza con la quale la sorella del dottore e il suo avvocato sostenevano la loro proposta.
«Vedi Padre, noi non vogliamo farti del male; non vogliamo storie complicate. Mettiamoci d’accordo e presentiamoci in tribunale già d’accordo per una conciliazione». In tutto questo affare è meglio andare prudenti.
Chiedo tempo per riflettere e consultare gli amici e i Superiori. Tutti sostengono che si tratta di una richiesta esagerata, perché nell’incidente non c’è evidenza di responsabilità alcuna; quindi è meglio che sia il Tribunale a decidere nel corso normale della giustizia.
Intanto mi raggiunge Nicola, il volontario che era al volante dell’auto il giorno dell’incidente. Anch’egli ha ricevuto una convocazione dal Procuratore della Repubblica al Tribunale di Buta. È accusato di «omicidio involontario» e rischia da tre mesi a due anni di carcere; per me, invece, come superiore della Missione titolare del veicolo, è solo questione di «risarcimento di danni e interessi».
Non ci resta che partire e affrontare il giudizio con calma.
Dato che il viaggio previsto è lungo e impegnativo (oltre 700 kilometri) chiediamo via Radio che da Ango ci vengano incontro con un’auto un po’ migliore fino al traghetto sul fiume Uele; la vecchia Land-Rover che abbiamo fra le mani non dà affidamento.
Saggia decisione.
Infatti appena usciti da Isiro un segnale di pericolo ci obbliga a controllare il radiatore: è secco e fumante: «Diavolo! Tre giorni di cure in garage devono darci una sorpresa del genere?».
Buttiamo nel radiatore tutta la riserva di acqua da bere che abbiamo; ma, con angoscia, vediamo grossi goccioloni cadere sulla strada. «Dio mio, c’è una rottura; siamo fritti!!».
Quasi trecento kilometri ci separano ancora dall’appuntamento con gli amici soccorritori; riprendiamo la marcia con il cuore in gola. Al primo torrente, neppure dieci kilometri
dopo, ci fermiamo per un controllo; manca già più di un litro di acqua, e questo ci dà la misura del rischio che corriamo e delle fermate obbligatorie che ci attendono nel lungo tratto di savana. Non è una prospettiva molto simpatica, ma non abbiamo altra scelta.
Verso le dieci di sera troviamo un alloggio conveniente a Kembisa, una grande cappella non lontana dal fiume, e il mattino seguente siamo puntuali all’appuntamento con l’altro volontario dell’equipe SVI, Pietro, venuto al traghetto per lo scambio delle auto. Lui è un buon meccanico e, tornato a casa, riesce magari a sistemare qualcosa. Beviamo insieme una tazza di The.
Poi via veloci verso Buta, la capitale della sotto-Regione, per il primo appuntamento con la giustizia. Anche il nostro Vescovo, avvertito via radio, vuole essere accanto a noi per incoraggiarci; in effetti la sua presenza ci facilita molto gli incontri con il Procuratore della Repubblica e il Presidente del Tribunale di grande istanza. Ricordo la battuta del Procuratore che ha cercato di sdrammatizzare le cose: «Monsignore non si spaventi, non vogliamo fare del male ai suoi uomini, ma proteggerli». Tutti ci hanno detto di non avere paura e fidarci della giustizia; hanno perfino affermato che l’avvocato difensore non sarebbe stato necessario. Un giorno, a processo concluso, vedremo se le affermazioni e i consigli che ci hanno dato corrispondono al vero.
Tutto sommato gli incontri di Buta ci hanno chiarito un po’ la situazione: abbiamo scoperto che per la nostra causa erano state aperte contemporaneamente due azioni giudiziarie, una a Buta e una a Kisangani. La cosa più necessaria sarebbe stata quella di unificare i due procedimenti. A questo scopo il Procuratore ci avrebbe dato delle lettere per il suo collega di Kisangani.
Ma mentre sono in corso questi contatti delicati con le Autorità e comincia a diminuire la preoccupazione iniziale, ecco che un messaggio radio viene a riaprire un’altra ferita: «La vostra Zona di Ango è stata esclusa come Centro di Esami di Stato; i candidati finalisti della sesta pedagogia sono troppo pochi, perciò dovranno presentarsi a Buta. Firmato: il Coordinatore Diocesano delle Scuole Convenzionate con lo Stato».
Anche se prevista da tempo, la notizia è proprio amara; a nulla dunque sono valsi i tentativi di mediazione portati avanti con pazienza fino ai livelli Superiori. Chi comanda o non conosce la realtà in cui viviamo o ha commesso uno sbaglio enorme. Oppure… bisogna ammettere l’ipotesi più brutta: i più lontani, i più poveri, i meno raccomandati politicamente sono i primi ad essere esclusi in caso di difficoltà.
Cerco di darvi un’idea del problema. Ango dista da Buta oltre 300 kilometri, senza praticamente alcun collegamento con mezzi di trasporto. Chi vuole spostarsi sa che non può contare che sulle sue gambe, a piedi o in bicicletta.
Gli esami statali si svolgono su una serie di quattro prove dal 30 aprile a fine giugno; secondo gli Ispettori di Kinshasa i nostri studenti dovrebbero fare il percorso Buta-Ango e ritorno ben tre volte in un periodo così breve: un’impresa assurda e impossibile. Infatti contemporaneamente agli esami continuano anche i corsi regolari e perciò lasciare Ango per fare gli esami equivarrebbe a perdere la fase più importante dei corsi: per lo studente un vero suicidio. Da parte del Ministero una decisione del genere è un’autentica beffa, un sogno fatto balenare ai ragazzi e poi frantumato.
Cercando di reprimere l’amarezza e lo sdegno per una situazione del genere io continuerò il viaggio fino a Kisangani per incontrare l’Ispettore principale Regionale. Ci sarà pure qualcuno che sa leggere le carte geografiche, le distanze fra i vari centri scolastici e i tempi di spostamento necessari per chi non ha altre risorse che le gambe che Dio gli ha dato.
Kisangani.
Qui abbiamo un paio di obiettivi da realizzare: incontrare l’avvocato che ci aiuterà nel processo e vedere di sbloccare il veto per gli Esami di Stato a Ango. Il tempo a disposizione è poco.
Arrivando dalla campagna (qui la chiamano «brousse») la città appare abbastanza viva e movimentata. È Capitale della grande Regione dell’Alto Zaire: ha un Governatore e un Arcivescovo (ambedue un po’ girovaghi a dire il vero) una grande Prigione, parecchie Scuole, alcune Facoltà dell’Università Statale, un discreto numero di industrie, mezzo milione di abitanti e un porto per battelli sullo splendido fiume Zaire.
Un tempo la città doveva essere un gioiello: case, giardini, uffici, banche per fare felice una minoranza ricca di coloni stranieri. Ora i ricchi ci sono ancora, ma hanno cambiato colore e in gran parte sono gente del posto, Zairesi. Amano i soldi e i traffici, ma gestiscono tutto in modo così personale, diverso e caotico che ti domandi come fa la città a sopravvivere. Si ha l’impressione amara che i nuovi amministratori non ce la facciano a tenere insieme una realtà così complessa.
E mille cose vanno in rovina: strade, scuole, palazzi, impianti dell’acqua e della luce. Paradossalmente tutti sembrano rassegnarsi fatalmente a questa situazione e l’aspetto esteriore della vita della città non sembra esprimere quel disagio profondo che serpeggia in parecchi strati della società a causa dei salari inadeguati, dell’inflazione economica, della corruzione amministrativa.
C’è traffico; qua e là si costruisce, si commerciano birra e sigarette, si suona musica a tutto volume, si balla, si fanno le serate lunghe. Ma mi sembra la famosa politica dello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia per non vedere il pericolo che si avvicina. Di fronte alla gravità della crisi sociale ed economica che attraversa il paese, si cerca di dimenticare, di rinviare a più tardi o di scaricare su altri l’impegno di un profondo «innovamento di cui tutti sentono il bisogno, ma che nessuno sembra capace di proporre con chiarezza.
Da alcuni mesi i Vescovi cattolici hanno elaborato un importante Documento su «II cristiano e lo sviluppo della Nazione». Si sa che è già stato pubblicato in Europa (in Italia cfr. Regno n. 614), ma qui in Zaire non è in circolazione; forse neppure è in stampa.
Questo ritardo ci preoccupa.
Perché la gente apra gli occhi il sistema attuale deve ricevere qualche staffilata; un tempo i Vescovi Zairesi si erano distinti per grinta e coraggio nel risvegliare la coscienza del popolo; speriamo che non ci tradiscano proprio ora.
Tali riflessioni mi hanno accompagnato in questi giorni in cui sono venuto a contatto diretto con gli Uffici di controllo del sistema scolastico Regionale. Dovevo assolutamente trovare una soluzione per i nostri ragazzi, dovevo scoprire il cuore del meccanismo che li impediva di usufruire del diritto fondamentale di presentarsi agli Esami di Stato senza pagare un pedaggio esorbitante.
Ho incontrato la persona giusta – Una donna.
Abbiamo discusso apertamente, senza reticenze, ed è venuto fuori quello che temevo: si trattava soltanto di una questione di soldi. Secondo l’Ispettore principale non si poteva aprire una Sede di Esami a Ango perché mancavano i soldi per pagare un Ispettore che venisse fino da noi per soli 8 candidati: «Se mi date una mano, posso tentare di aiutarvi; ci pensi Padre e mi dia una risposta!».
Ci ho pensato e ho fatto i miei calcoli in base a quanto già avevamo previsto con il Coordinatore Diocesano. Mettendo insieme tutte le forze avremmo potuto farcela: genitori degli studenti, popolazione e funzionari, insegnanti e impiegati, Capi tradizionali e Commissario di Zona più, naturalmente, noi Padri, tutti insieme avremmo potuto pagare questa specie di supertassa.
Allora, a nome di tutti, ho accettato!
Domattina l’Ispettore verrà con me e con tutte le sue carte. Lui avrà il suo salario, ma anche i nostri ragazzi potranno farsi in pace, a Ango, i primi tre esami preliminari. Si sa che per il quarto esame, la Maturità, dovranno per forza recarsi a Buta; ma per la fine di giugno sono certo che
troveremo una soluzione ragionevole. Con l’impegno di tutti, spero.
Grazie a Dio anche il secondo obiettivo è stato raggiunto. Insieme con Nicola abbiamo incontrato l’Avvocato della Diocesi e abbiamo stabilito una linea da seguire semplice e chiara in vista del primo processo che si celebrerà il 25 aprile. Siamo a livello di Tribunale di Pace, quindi ci sono buone speranze che il giudizio sia accettabile; se la famiglia del Dottore non va in appello pensiamo che questo conflitto si chiuda presto.
Ma nel caso le cose andassero male o per Nicola o per la Missione, pensiamo di chiedere il trasferimento del processo a Buta.
Qui è la nostra sede giuridica di residenza e qui la giurisprudenza locale potrebbe essere meno condizionata da fenomeni di rivalsa di tipo razziale o di interessi esagerati.
Ma non possiamo farci illusioni.
Può darsi che questa esperienza ci faccia provare un po’ di quella amarezza che è privilegio di tanti missionari, ripagati con «prove e persecuzioni» dopo aver dato la vita con amore a servizio della gente.
Sarebbe un onore troppo grande.
Il mio Comboni benediceva la Croce. Per ora a me basterebbe saperla portare con serenità.
Vi chiedo una preghiera forte per il lavoro che mi attende.
So che molti di voi sono fedeli all’impegno mensile per sostenere la nostra missione. Vi ringrazio di cuore. Grazie dell’aiuto di 10 milioni arrivati lo scorso mese di marzo.
Forza a tutti. SHALOM!
P. Gianni
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