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Isiro (Zaire), Santo Natale 1987
By admin | dicembre 25, 1987
SHALOM…..sulle tracce di chi costruisce la P A C E!
Isiro (Zaire), Santo Natale 1987
Carissimi,
vi scrivo con la testa e le mani ancora doloranti per le centinaia di chilometri macinati in questi giorni e i postumi di una malaria che per 24 ore mi ha fulminato a tradimento. E’ la sua solita tattica: proprio quando sei più stanco e debole, quella ti attacca all’improvviso e ti stende secco. Per fortuna ci sono i mezzi per rintuzzarla: due iniezioni piazzate bene e una serie di pastiglie ti rimettono in piedi; anche se rimane poi una grande debolezza e un senso di stanchezza e di vuoto.
Oggi è l’8 dicembre, festa di una Donna amata da Dio e scelta per darci Gesù.
Passerò per forza la mattina a riposo, scrivendo e pensando a voi.
Non mi è difficile immaginare il ritmo delle vostre giornate che precedono il Natale; le mille sollecitazioni intense e contraddittorie che vi obbligano a giostrare fra tanti impegni, lavori, incontri, acquisti, visite di cortesia, regali intelligenti e regali assurdi e inutili. Troppo tempo e troppe energie impegnate in cose che a volte distolgono il cuore dall’avvenimento bello e tremendo della nascita di Cristo, il Dio-che-salva.
Questa lettera vorrebbe invitarvi a cercare un momento di Pace con il Signore e, se possibile, aiutare voi, abitanti delle fredde terre del Nord, a celebrare il Natale in comunione con noi impegnati nelle savane dell’Equatore. Perché il miracolo del Natale è proprio quello di riavvicinare la gente, abbattere le barriere e i pregiudizi, annullare le distanze, affinché gli Uomini, sinceramente e insieme, facciano posto al Signore-che-viene.
La Bibbia parla di «raddrizzare i sentieri del cuore, togliere rancori e malizie di ogni sorta, aprire le porte al Redentore… ».
Se l’invito è accettato, accade il miracolo sognato da Dio: gli Uomini si incontrano e riescono a volersi più bene.
Questo è natale.
Da tanto tempo si parla di costruire un mondo più giusto e più accogliente per l’Uomo. Se gli sforzi di Pace dei Grandi sono tradotti in gesti concreti e personali, se i Trattati Internazionali diventano scelte di coscienza e stile di vita della gente, allora meritano tutta la nostra attenzione. Se nella gioia traboccante di questo periodo troviamo il tempo per un confronto con gli «altri» e abbiamo il coraggio di condividere la nostra felicità, allora avremo celebrato un Natale serio, e avremo accolto il Cristo come si merita.
La cronaca di queste ultime settimane merita un po’ di dettagli. Così vi renderete conto di quanto siamo perplessi ad accettare le visite anche di persone molto care: i rischi e i contrattempi sorpassano ogni più seria previsione.
Il dott. Pietro Zanchi e mio padre Aldo sono arrivati a Kinshasa venerdì 6 novembre e il giorno seguente hanno raggiunto Kisangani. Qui sono rimasti bloccati: nessuna comunicazione aerea era più possibile! Allora ho deciso di andare a prenderli io stesso in Land – Rover: oltre 500 chilometri in gran parte attraverso la grande foresta dell’Ituri. La strada in terra battuta è generalmente buona, ma percorsa quasi completamente di notte, con le micidiali buche-sorpresa che ti demoliscono le sospensioni, non è da prendere alla leggera.
Ma non avevo altra scelta: il pomeriggio di giovedì 12 novembre sono partito.
Ho raggiunto Kisangani alle 5 del mattino appena prima che si scatenasse una pioggia torrenziale. Il tempo di abbracciarci, fare le valigie e lasciare asciugare un po’ il fango; poi in marcia di nuovo, in compagnia anche di una Suora Comboniana. Stessi chilometri, stessa foresta interminabile, stessi tranelli nella notte. Difendendomi a denti stretti dagli attacchi del sonno e passando il volante alla Suora quando proprio non ce la facevo più, dopo 18 ore di macchina siamo di nuovo a Isiro. Una manciata di ore di riposo e poi via di nuovo; stavolta più lenti: la strada è brutta e il carico è forte.
Passata la notte a Viadana, con la gioia di un letto dopo due notti in bianco, superiamo anche la missione di Poko, l’ultimo punto di appoggio tecnico che ci separa da casa, distante ancora circa 250 chilometri. Tutto sembra OK; la tabella di marcia è perfetta.
D’un tratto, provando a frenare mi accorgo che qualcosa non funziona; scalo velocemente le marce, e mi arresto … Dio mio!! Il pensiero che i freni avrebbero potuto saltare anche solo qualche ora prima, sulle ripide scarpate, carichi come eravamo, mi fa rabbrividire: sarebbe stata una tragedia. Con calma e a marce ridotte facciamo ritorno alla Missione ancora vicina; qui la diagnosi è spietata: non solo siamo senza freni, ma è saltata anche la doppia trazione speciale che ci permette di superare i punti più critici.
Siamo bloccati. E’ domenica. I Missionari di Poko, autentici Tedeschi, sono irremovibili: «Oggi non si lavora, vedremo domani». E con gentilezza ci offrono da mangiare e da bere. Ma il pensiero di Ango non mi lascia sereno: lassù sono in attesa da parecchi giorni e una trentina di Catechisti mi aspettano per un incontro speciale che non può saltare. Tra un boccone e l’altro cerco di spiegare la cosa al Superiore, timidamente… senza farmi illusioni.
Alla fine del pranzo il verdetto-sorpresa: «Va bene, lasciate qui la vostra carcassa e prendete una delle nostre macchine. Buona fortuna!». Per chi vive in Africa sa bene che una gentilezza del genere è grandiosa.
Così, a mezzanotte, siamo a casa; stanchi morti ma felici.
Lascio al dottor Zanchi l’incarico di raccontarvi quello che non si può scrivere su un pezzo di carta: l’ansia che insieme abbiamo assaporato in quelle interminabili ore, la paura che non ci traghettassero sul fiume al calare della notte, la strada sepolta nell’erba, le buche profonde e allagate, le pietre, l’avanzata lenta, per ore e ore nella savana, senza incontrare nessuno.
Poi, finalmente, la gioia di stare a lavorare con la gente.
Fin dal primo giorno sia il dottore sia il papà hanno preso in mano i loro ferri e si sono dati da fare ciascuno nel suo settore: Zanchi a curare corpi e Aldo a riparare case. In breve la piccola riserva di mattoni che avevamo si è esaurita: bisognerà trovarne presto degli altri perché papà non sa restare a lungo senza combinare qualcosa.
Intanto la lista dei progetti da realizzare è lunga e impegnativa; speriamo solo che la sua salute regga bene.
Mi rendo conto che avere mio padre qui in Missione non per una visita veloce, ma senza limiti di tempo è un dono unico e prezioso. Eppure, a suo tempo, proprio lui aveva fatto tanta fatica ad accettare la mia scelta per l’Africa: gli pareva troppo rischiosa. Oggi invece è felice di condividerla.
E’ proprio vero che quando c’è di mezzo una vocazione seria, di qualsiasi tipo, non è prudente per i genitori opporsi al di là di una verifica ragionevole. L’avvenire dei figli e talvolta anche quello di loro stessi potrebbe essere compromesso. D’altra parte la vita è troppo ricca e bella per essere vissuta soltanto in base a schemi già collaudati; la novità delle scelte e la creatività dei figli, hanno una radice nella fantasia di Dio, e vanno rispettate.
* * *
Riprendo la mia cronaca.
Il tempo passa in un soffio, e tocca ancora a me accompagnare il dottor Zanchi a Isiro per prendere l’aereo del ritorno. E’ un viaggio di ordinaria amministrazione che affrontiamo sportivamente, partendo prestissimo, nel cuore della notte, proprio con la stessa Land-Rover che nel frattempo è stata riparata. Abbiamo con noi anche un paio di Catechisti.
Dopo aver attraversato il grande fiume Uele, col traghetto, a tempo di record, ci dirigiamo veloci verso Isiro su un tratto di strada molto bello. Ma ben presto dobbiamo ridurre la velocità, perché il fondo stradale si è fatto improvvisamente viscido e pericoloso.
Nel cielo ancora i segni di un temporale che ci ha preceduti di poco. Non abbiamo fretta; parliamo con calma del lavoro fatto a Ango, dei progetti per il futuro, di altri medici che potrebbero venire a darci una mano, delle difficoltà dell’ambiente: «Ci vuole tempo e pazienza – conferma il dottor Zanchi – Intanto noi prepariamo la strada».
Mentre affrontiamo un lungo rettilineo in discesa butto lì una battuta: «Non meravigliarti, Pietro, se ci dovessimo trovare di colpo girati di traverso; con questo fango può capitare, sai!».
E’ quasi una premonizione.
D’improvviso la macchina se ne va per conto suo, decisa, fuori strada. Neppure il tempo di frenare o di sterzare; un attimo di panico e di stupore e poi il botto contro il fianco rialzato della savana.
La velocità ridotta, la terra morbida e le alte erbe non impediscono che la macchina si corichi sul fianco … immaginate il groviglio di persone e di cose che si è formato all’interno dell’automobile, gli attimi di angoscia brevissimi ma intensi; poi, subito, la sensazione bella di essere illesi: «Ci siamo tutti?» – «Si; tutto OK!».
Poteva davvero finire, molto male. Invece il Signore è stato grande e gentile; ci ha fatti uscire dall’incidente intatti, noi e tutte le nostre cose, comprese le 96 bottiglie di birra, vuote, che dovevamo restituire a Isiro. Però abbiamo sentito il brivido della nostra impotenza di fronte alla Land-Rover immobile coricata di traverso alla strada; un peso enorme anche per eventuali soccorritori!
«Come faremo a raddrizzarla? Sono solo le 11,30, passerà qualcuno? Mancano ancora 200 chilometri a Isiro, arriveremo in tempo per l’aereo di domani?».
Erano le domande che ci uscivano spontanee, mentre con calma analizzavamo la situazione e mettevamo un po’ di ordine nelle nostre cose. Nelle ore seguenti abbiamo toccato con mano cosa sia la Provvidenza; qualcuno si ostina a chiamarla «caso» o «fortuna» o peggio!
Ecco una sintesi telegrafica. Per i dettagli fate parlare il Pietro, che in tutti questi contrattempi è stato magnifico; calmo e forte.
Verso le 15,00 un Camion arriva e ci rimette in piedi.
Falliti i tentativi di far ripartire il motore, ci trascinano per alcuni chilometri fino alla capanna di un vecchio amico che accetta di ospitare l’auto e custodirla fino al nostro ritorno. Stiamo ancora parlando con lui che sopraggiunge un’altra Land-Rover: esperti della FAO in giro di ispezione. Anch’essi vanno a Isiro e prevedono la partenza in aereo per il giorno seguente: magnifico, hanno due posti su misura per noi. Ricominciamo a respirare senza angoscia.
Piazzati in fondo all’auto passiamo ore di sofferenza durissima per i sobbalzi continui; ma poco prima di mezzanotte siamo a casa.
Pietro non riesce a chiudere occhio.
Verso le nove del mattino siamo già all’Aereoporto, pronti per la partenza. Ma il tempo si fa brutto. Piove e le nuvole scendono basse sopra la foresta vicina.
All’ora prevista, puntuale, si sente sopra le nostre teste l’aereo che si avvicina, si avvicina… sembra sfiorare la torre di controllo … ma poi risale disperato …e se ne va.
Mancando i Radars; non ha visto la pista e va a scendere a Kisangani, 500 chilometri più lontano. Che beffa! E’ troppo davvero!
Mentre ci avviamo amareggiati all’uscita dell’aeroporto eccoti ancora gli amici della FAO che si fanno vivi: «Noi partiamo subito per Kisangani in Land-Rover; domani c’è un altro aereo per Kinshasa; volete approfittare?”.
Il dottor Zanchi è titubante; sa che cosa lo aspetta; un’altra notte di sofferenza e fatica che ben conosce. Ma gli impegni assunti in Italia lo costringono ad accettare.
Lo abbraccio e lo affido agli amici e al Signore.
Ma non è ancora finita; il giorno seguente si viene a sapere che la strada Isiro-Kisangani è interrotta: centinaia di camions e vetture sono bloccate! Per poco non mi arrabbio anch’io: «Così non è giusto; è troppo davvero; basta!».
Mi sarei sbagliato di grosso.
Infatti il dottor Zanchi è passato.
Un giorno mi dirà come e forse accetterà di chiamare la fortuna con il suo vero nome.
* * *
Molti amici di Shalom hanno preso sul serio la proposta di un impegno mensile per la Missione. Siete veramente grandi.
Un primo dono di 40 milioni è già arrivato a ossigenare un po’ tutto il programma che abbiamo fra le mani.
A nome della Comunità: tre preti, un papà, due Suore, 4 Volontari Laici e un mare di gente, vi mando un grazie «potente» e fraterno e un augurio bello per il Natale e l’Anno Nuovo.
FORZA e SHALOM!
p. Gianni
Topics: '82 - '90 Congo, Lettere Natale | No Comments »