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Santa Pasqua 1984
By admin | aprile 22, 1984
S H A L O M …. sui sentieri di chi costruisce la P A C E!
Zaire – Santa Pasqua 1984
Carissimi,
sono bloccato a Goma, una città costruita ai piedi di un vulcano sul lago KIVU, circa duemila chilometri lontano da Ango. L’aereo della compagnia nazionale «Air Zaire» non si è presentato all’appuntamento e per di più nessuno sa dirmi quando potrò partire per Kisangani. E’ un bel guaio.
Durante questa sosta forzata sto vivendo un po’ della frustrazione che blocca la vita di tanta gente qui in Zaire e impedisce a questo paese immenso di diventare uno dei protagonisti dell’Africa moderna. Lo Zaire è come un gigante con il cuore e i polmoni paralizzati, un paese straricco di energie materiali e umane, che si limita a sopravvivere, ma non si sa fino a quando! Come mai?
Ci sono anzitutto le distanze enormi che separano le varie Regioni tra di loro e dalla Capitale; si tratta di centinaia e migliaia di chilometri con un sistema di comunicazione fermo agli anni ‘60.
C’è una burocrazia che imita i modelli stranieri, ma non riesce a far funzionare una struttura troppo complicata e in gran parte inutile. Nonostante un programma di decentralizzazione avviato nel settembre del 1982, l’incompetenza e la corruzione creano un disagio profondo in parecchi settori dell’Amministrazione statale.
C’è poi, al di sopra di tutto, prima di tutto e responsabile di tutto, un Partito Unico, il Movimento Popolare della Rivoluzione (fondato da Mobutu) che pretende di guidare ogni attività politica, economica e culturale del paese. Di fatto si riduce ad essere un grande apparato di Inquisizione e di spionaggio a servizio del Presidente Fondatore.
Infine c’è un Popolo al quale si chiedono le tasse, una adesione incondizionata alle direttive del Partito, e tanta tanta pazienza per le cose che non funzionano.
Criticare il caos che regna nell’apparato statale per la gente non è facile; mancano gli strumenti adeguati, e poi è pericoloso. Se ti lamenti o fai domande a voce alta puoi passare per antirivoluzionario e finire sulla lista nera dell’Ufficio Investigazioni. Meglio quindi lasciar perdere e cercare di sopravvivere in un sistema che ha tacitamente accettato uno slogan semplice e terribile: «Ognuno si arrangi come può»! Cercando soprattutto – come dice il Presidente Mobutu – di non esagerare e non farsi prendere in flagrante.
Così se il Governo non paga, ogni funzionario trovi sul posto il modo di sopravvivere; sia egli Commissario, impiegato, infermiere, soldato o semplice guardiano notturno. Naturalmente per quelli che hanno un po’ di autorità o che possono allungare la mano sui soldi dello Stato, il sistema fa comodo e funziona; invece la massa degli impiegati e dei funzionari normali si deve accontentare di una specie di difesa passiva: lavorare il meno possibile e recuperare tempo ed energie per se stesso. Come al solito, chi porta il peso di questo disordine morale e amministrativo (i Vescovi l’hanno definito il «male zairese» in una famosa lettera pastorale) è il popolo semplice, gli individui che stanno alla base della società, i più deboli e indifesi, gli studenti, i malati, i prigionieri, i pensionati, i poveri senza voce e senza potere.
Ma qualcuno comincia a riflettere, a fare i suoi calcoli, e a scalpitare. Dopo la stangata economica del settembre ’83, con la svalutazione paurosa della moneta e la conseguente scalata dei prezzi, i problemi si sono acutizzati e in alcuni settori c’è una presa di coscienza più viva, e la richiesta di qualche cambiamento.
Il nostro dottore, giovane e di buona volontà, da un anno lavora a Ango, ma in tutto questo tempo è riuscito a incassare soltanto due mesi di salario; i suoi soldi spariscono regolarmente per strada. Per poter vivere si è messo a chiedere ad ogni paziente un contributo di 50 Zaires (equivalente a 2.500 lire) una cifra che per la nostra zona è considerata enorme. Risultato: nessuno viene più a farsi curare all’ospedale; e il dottore, scoraggiato, ha chiesto il trasferimento.
L’insegnamento è il settore dove il Governo si sta giocando la sua reputazione. Già vi ho detto come lo Stato Zairese ha dovuto ricorrere alle Chiese per mandare avanti questo servizio importante e delicato. Ma ciò nonostante le cose non vanno bene. Lo Stato non vuole pagare i maestri come si deve. Cerca tutte l’è scuse per non affrontare il problema a fondo e continua a offrire loro dei salari da fame, irrisori rispetto alla fatica che compiono e al costo della vita. Mentre i funzionari dell’Amministrazione e del Partito hanno ottenuto nell’ottobre scorso sensibili aumenti di stipendio, gli insegnanti hanno ricevuto le solite promesse e un misero aumento del 20 per cento. Per di più questo benedetto salario arriva abitualmente con due o tre settimane di ritardo.
Stufi e innervositi per questi maltrattamenti, ai primi di dicembre scorso gli insegnanti hanno cominciato a scioperare. Solo pochi giorni, ma in quasi tutti i centri. E’ stata davvero una cosa sorprendente, il segno di una coscienza che si risveglia e comincia a intravedere delle realtà fino ad ora mai assaporate. In termini moderni si direbbe che fra gli insegnanti sta nascendo una coscienza di classe che sa di essere indispensabile al paese; ma al tempo stesso si sente sfruttata ed emarginata. A dire il vero gli scioperi sono stati limitati nel tempo e le richieste espresse alle autorità competenti, moderate e ragionevoli: un salario sufficiente per vivere e non troppo in ritardo. Più oltre non è facile andare perché manca una coscienza sindacale e mancano le persone capaci di organizzare, di aiutare e riflettere e a esprimere le proprie rivendicazioni.
Il Governo ha chiesto il tempo necessario per fare un censimento dettagliato di tutte le scuole e di tutti gli insegnanti prima di procedere a un riassetto dei salari secondo i nuovi parametri.
Siamo in una fase di attesa, e gli insegnanti per l’ennesima volta hanno deciso di pazientare: ma attendono il Governo al varco.
E noi Chiesa, noi Missionari cosa abbiamo fatto?
Per quanto ci riguarda abbiamo sostenuto in pubblico e in privato queste rivendicazioni fino al punto che il mio confratello si è beccato un ammonimento ufficiale dal Governatore e un dossier all’Ufficio Investigazioni. A Kisangani, un padre e una suora sono stati espulsi nel giro di poche ore per aver sostenuto e incoraggiato gli Insegnanti in sciopero. Ma questi gesti individuali, anche se positivi, non bastano più.
In quest’Africa alla ricerca di un autentico sviluppo e di una nuova coscienza di nazione moderna, la Missione della Chiesa è impegnata su fronti nuovi e complessi: come annunciare un Vangelo senza troppe bardature di una cultura straniera, un vangelo capace di mettere in moto un processo di Liberazione autentica, un vangelo che assume e rinnova la cultura dei popoli africani. Fare uomini nuovi per questo mondo nuovo in formazione è un compito formidabile.
Partendo proprio dai limiti che emergono nei vari settori della Società, proprio per rispondere alte attese della gente e ai suoi bisogni fondamentali, la Chiesa si assume degli impegni che toccherebbero allo Stato. Ad esempio educazione e salute pubblica.
Ma qui nascono alcuni grossi interrogativi.
Prendiamo il nostro caso. Lo Zaire è in mano a Mobutu da quasi 20 anni. Egli si è sistemato bene ed ha tutta l’intenzione di non mollare un palmo del suo potere, anche se parecchi settori del Paese vanno alla malora e gran parte delle sue promesse sono cadute nel vuoto. Quest’anno ci saranno le elezioni Presidenziali e già da tempo Mobutu ha iniziato la sua campagna elettorale fin nelle località più remote della Repubblica. La gente si domanda se sia necessario tutto questo polverone dato che lui è l’unico candidato e che già si proclamano i risultati previsti al 100% in suo favore.
In privato si ironizza e si critica, in pubblico bisogna per forza applaudire. Dove Mobutu arriva si riparano le strade e si imbiancano le facciate delle case; si preparano tribune e ricevimenti, si scrivono rapporti e richieste di aiuto straordinario.
Praticamente si gioca la carta della cordialità, della buona accoglienza per meritare qualche favore immediato.
Ma qualcuno comincia a preoccuparsi per il fatto che o per un verso o per l’altro, la Chiesa mantiene in piedi questo sistema corrotto.
Insegnamento e Sanità sono due servizi classici nei quali la Chiesa esplica la sua Missione, con l’unico scopo di liberare la gente dalla miseria; e senz’altro, un numero notevole di persone ne approfitta direttamente. Ma anche il sistema politico ingiusto ne trae vantaggi immeritati e può continuare imperterrito alle spese della gente.
Qui a Goma, ad esempio, (siamo all’estremo confine est del Paese) ufficialmente non si può parlare di colera; ma ormai è un fatto endemico con punte drammatiche. Il mese di gennaio scorso più di 400 casi sono stati curati appunto dalla Chiesa, perché l’Ospedale Governativo si è rifiutato di accoglierli e curarli come tali.
La Chiesa, (in questo caso la gente animata da due Padri Saveriani e alcuni Laici) non aspetta di abbattere il Faraone per salvare gli schiavi moribondi. Li salva e basta.
Inventando anche un siero che farebbe sorridere i grandi medici europei, ma che di fatto guarisce.
Intanto però il sistema ingiusto sopravvive ancora di più.
Certe accuse di irresponsabilità e incompetenza che potrebbero inchiodarlo sul banco degli imputati a livello internazionale non gli possono essere fatte perché le vittime non ci sono. Invece di 400 morti ce ne sono soltanto quattro e perciò: «Il colera non c’è!».
Siamo all’assurdo, dove dei gesti di bontà e generosità potrebbero nascondere la gravità di una situazione insostenibile. E questo vale per altri aspetti simili.
Ai tempi di Amin il mondo inorridiva perché veniva a sapere ciò che succedeva in Uganda; perciò la coscienza internazionale era sveglia e consapevole. Da parte sua la Chiesa in Uganda ha percorso con la gente il lungo calvario verso la libertà e ha pagato a caro prezzo la sua testimonianza. Oggi la situazione dello Zaire è più ambigua; mancano per ora gli estremi del dramma Ugandese; ma le premesse per un futuro disastroso sono già in atto.
E mi pare che la Chiesa sia presa nel gioco più del necessario, e non si renda conto del rischio che sta correndo.
Cosa può succedere quando l’attuale Faraone se ne andrà? Non sono forse in gran parte cristiani quelli che oggi hanno in mano il potere e lo gestiscono secondo i
principi del Mobutismo? Non sono forse cristiani quelli che oggi formano il tessuto corrotto di una economia e di una amministrazione che non si cura affatto del popolo
ma solo di se stessa?
Tempo fa l’Episcopato Zairese aveva lanciato alcuni messaggi profetici; ma guarda caso erano proprio i tempi della tensione con il Governo Mobutu, i tempi della distanza e della persecuzione.
Oggi tra Chiesa e Stato c’è più pace, più sforzo di comprensione, più collaborazione! Non sappiamo bene se sia la strada giusta e se durerà ancora a lungo. Intanto però il silenzio prolungato potrebbe diventare una forma di connivenza che impedisce alla Chiesa di risvegliare la coscienza dei responsabili del bene comune.
Con queste note non vorrei darvi l’impressione che l’entusiasmo per il nostro lavoro sia in discussione. Niente affatto. Anzi i progetti impostati vanno avanti, e, se Dio vuole, ne nasceranno degli altri. Un rappresentante di un Organismo Italiano di Volontariato (lo SVI di Brescia) è venuto nella nostra zona per studiare con noi la possibilità di fare qualcosa di serio per lo sviluppo di tutto il territorio.
I passi di chi cammina per la Missione sono mossi dalla fiducia; ma voglio dirvi che oggi diventa sempre più delicato fare una Missione che sia al tempo stesso Liberazione per gli oppressi e proposta di conversione per gli oppressori. E’ difficile oggi, qualunque scelta si faccia, sfuggire sia alte critiche sia alle strumentalizzazioni di chi rifiuta di vedere e di ascoltare «i fatti che parlano». Comunque non abbiamo altra scelta se non condividere fino in fondo la situazione della gente e con loro tentare un cammino di crescita e di libertà. Ma la libertà costa cara ed è il risultato di un impegno forte e prolungato. D’altra parte la Libertà è anche un dono per tutti quelli che ascoltano la Parola e la vivono, la mettono in pratica.
In Africa come in Europa dovremmo essere gente che crede e parla con i fatti, che grida con i fatti quella Parola in cui crede.
Non è Missione da poco. E soprattutto non è Missione priva di sofferenza e di interrogativi, di dubbi e di paure che fanno talvolta rallentare il passo. Come i discepoli che faticavano a star dietro a quel Gesù incamminato deciso verso Gerusalemme: «Ma cosa ci va a fare? Ma non sa che gli vogliono male? Ma non si accorge che lo vogliono far fuori? E poi, perché vuole coinvolgere anche noi?”.
II cammino della Missione è un po’ come il cammino verso Pasqua.
Su una strada difficile; dietro a Uno che va coscientemente incontro alla Croce e alla morte. Uno cui il Padre ha assicurato la vittoria finale; ma che comunque ha accettato il prezzo della sofferenza per sé e per i suoi amici.
Allora non dimenticatevi di noi … e non dimenticate neppure voi di camminare con decisione verso la Pasqua.
SHALOM!
P. Gianni
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