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Mabayi (Burundi), Estate 1969

By admin | giugno 1, 1969

G.A.M. ‘12 – UN IMPEGNO EFFICACE AL SERVIZIO DELLA VITA

Mabayi (Burundi) estate ‘69

Carissimi,

ci ritroviamo dopo una pausa un po’ lunga; ma come il solito tutto fila benone. L’eco dei grandi avvenimenti di questi mesi è arrivata anche qui e in quanto possibile abbiamo cercato di presentarli alla nostra gente.
L’Africa cristiana ha avuto un momento di grande gioia per la visita del Papa in Uganda, e anche i nostri inviati del Burundi sono tornati entusiasti.

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Le bellissime foto di EPOCA, con gli Uomini sulla Luna, ci hanno procurato dei commenti buffi: « Voi Bazungu (bianchi) siete proprio strani! Ma che andate a fare lassù? Cercate forse altri campi per le vostre patate? ». NB. In lingua kirundi l’Europa è chiamata “Bulaya = la terra delle patate”!
L’ho messa tutta per dare un’idea di quelle macchine straordinarie che scalano il ciclo; ma credo di aver fatto poco successo.
Mi rende di più, per ora, dare un’occhiata ai lavori degli operai, o cercare di capire la gente che si presenta alla Missione. In questi giorni riprendono in pieno tutte le attività della Scuola e dei Catecumenati; bisognerebbe essere almeno in quattro e invece siamo in due, compreso il sottoscritto ancora in rodaggio.
I progetti sono davvero tanti.
Li stiamo mettendo a punto e poi vi dirò quali diventeranno realtà. Ho l’impressione che la firma del G.A.M., oltre che su tante pietre, andrà a finire anche sul cuore di tanta gente se noi tutti sapremo unire al dono materiale, la fedeltà all’impegno che ci ricordiamo a vicenda.

* * *
E UN PILASTRO STANCO…
Erano forse le 5,30 del mattino e, naturalmente dormivo beato.
Di colpo un rumore scrosciante, una specie di tuono forte e prolungato mi ha invaso la stanza e mi ha fatto schizzare fuori del letto con il cuore in sussulto.
Agguanto i pantaloni, mentre un pensiero mi fulmina: « Sta a vedere che è partito un pezzo di casa! ».
Spalanco la porta. Assieme alla polvere mi arriva in faccia un’esclamazione di gioia: « Oh… Nobili! sei vivo?! ».
E’ P. Antonio, in pigiama, che mi ha preceduto e che per un momento ha avuto paura per me.
Arriva anche Gigio, il fratello costruttore: « Ma che succede?… » La domanda gli muore in bocca. Siamo in tre, davanti a un mucchio di blocchi in cemento, frantumati; come un’enorme grandinata di pietre che sfondando il soffitto è piovuta giù a ridosso della mia stanza. Il corridoio è sommerso dai detriti: « Per la miseria…, Gigio! che scherzi ci combini? ». Il nostro « architetto » si morde un labbro in silenzio.
E’ la prima luce dell’alba e riusciamo appena a renderci conto del pasticcio: un pilastro centrale di sostegno alla copertura della casa è partito netto, come esploso di schianto, e le travi del tetto si vedono attraverso lo squarcio del soffitto. Ironia della tecnica: i muri di mattoni e fango, vecchi di oltre trent’anni, non hanno fatto una piega!
Anche a occhio i calcoli sono presto fatti: « Bisognerà rifare i pilastri almeno tre volte più solidi… non ti pare Gigio? ».
« Eh, sì! per forza. Ma tu ringrazia i Santi, devi averne qualcuno che ti vuoi bene! ».

Non ha torto.
Proprio sotto al pilastro che ha ceduto, nell’angolo della stanza, ci sta il mio letto. Fortuna che i blocchi, cadendo, hanno preso la direzione giusta.
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ACQUA E FUOCO

Si respira meglio, perché finalmente è arrivata la pioggia.
Quando le nuvole nere si sono affacciate sulle creste dei monti, la gioia è esplosa di colpo in tutta la valle. Hanno acceso decine di fuochi, bruciando le sterpaglie già ammucchiate nei campi pronti per la semina.
Grida e richiami festosi ci giungevano fino alla missione, mentre il rullo di un tamburo si mescolava al primo borbottare dei tuoni.
Era ora!
Dal mese di maggio non cadeva una goccia; chissà quante preghiere cristiane e spergiuri magici hanno tentato di impietosire il cielo, sordo ad ogni invocazione.
Queste ultime settimane le cose si mettevano male. Le montagne s’erano fatte di un colore stanco e brullo e l’erba della savana era tutta arrostita dal sole. Tutti gli anni è così; quando scarseggia l’erba per le bestie, è tempo di rinnovare i pascoli. La tecnica è quella usata da secoli in tante parti dell’Africa: bruciano tutto. Il fuoco passa come una falciatrice enorme che divora in un soffio distese incredibili.
E’ un metodo un po’ sbrigativo, avrà i suoi vantaggi senza dubbio, ma comincia ad essere pericoloso per le coltivazioni che si sviluppano sulle colline.
Bruciare la savana è proibito; ma chi può impedirlo? E’ un’abitudine ormai radicata nella vita della gente, risparmia loro tante fatiche e non manca del suo lato spettacolare.
Durante una visita alla succursale di Gasarabuye, mi è capitato di assistere a un duello tra il fuoco e la popolazione: vi assicuro che è affascinante. Siamo riuniti a consiglio con i capi collina e i più anziani della zona, quando sentiamo il crepitare secco e lontano delle fiamme.
Arriva un ragazzo trafelato: “Padre, venite tutti presto, il fuoco vuole mangiare tutto il nostro caffè! ».
Ci precipitiamo subito.
Settecento metri quasi di corsa per arrivare sul luogo dell’incendio. C’è già tanta gente. I più giovani prendono le cose quasi scherzando, ma gli anziani guardano preoccupati le fiamme che scendono decise dai fianchi di una collina già tutta carbonizzata e avanzano diritte verso i campi di caffè.
Il vento è forte, perbacco, e turbini di fuliggine ci investono, la mia veste bianca comincia a tingersi di cenere.
Sì e no un metro di distanza separa le alte erbe dalla piantagione. In questa esile striscia di terra tutti prendono posto: uomini e giovanotti, ragazzi e mamme, con il solito bambino attaccato alla schiena, e perfino molte vecchiette coraggiose; una vera barriera umana.
Armati di rami di eucalipto e di morbidi tronchi di banano, attendono con calma che le fiamme arrivino a tiro; poi, di slancio e tutti insieme si gettano sul fuoco: con grida di incitamento e ad un ritmo indiavolato tempestano le fiamme di centinaia di colpi, proprio come fosse un serpente. « Che fegato perdinci! ».
In breve il pericolo è scongiurato; e mentre noi ci ritiriamo sudati e sporchi, il fuoco continua più lontano la sua corsa lenta e implacabile nella savana.

* * *
Ho già avuto notizia che nella gioia delle vostre vacanze non vi siete dimenticati del lavoro che qui continua senza sosta. Ho ricevuto anche cinque bei pacchi dei vestiti che mi avete mandato; si vede che c’è dello stile anche nei vostri doni, e vi ringrazio. La base di Sondrio è sempre a vostra disposizione anche per informazioni di ogni genere; scrivete pure lassù, che sono in gamba.
Vi assicuro il mio fraterno ricordo e la mia preghiera.

Ciao a tutti. Forza G.A.M.! Un grazie potente a tutti.
P. Gianni

Topics: '68 - '73 Burundi | 1 Comment »

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