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Mabayi (Burundi), Giugno 1969

By admin | giugno 1, 1969

G.A.M. ‘12 , UN IMPEGNO EFFICACE AL SERVIZIO DELLA VITA

Mabayi (Burundi), giugno 1969

Carissimi,

sono di nuovo a Mabayi.
Ho lasciato la capitale con un sospiro di sollievo. Immaginatevi: sei mesi con il naso sui libri in una città borghese e coloniale, quando poco lontano c’è la gente che ti aspetta, non vi pare una penitenza abbastanza lunga? Ma adesso è finita.

Ho il mio diploma (clericale) in tasca e in teoria posso fare tutto come un veterano anche se
riesco appena a balbettare due frasi sconnesse. Quanto a capire ciò che la gente dice, è ancora un
problemaccio serio; per consolarmi alcuni mi sussurrano un vecchio proverbio: «Bukèbuké bukomeza igihonyi» – Piano piano la banana diventa grande ( In francese direbbero: piano piano l’uccello fa il suo nido!).

Ho trovato una bella sorpresa. La vecchia casa parrocchiale, dai soffitti in paglia e terra battuta, dal profumo umido di muffa è stata letteralmente sventrata e rinnovata per metà. Aria più abbondante, pavimenti in cemento, due enormi vetrate in ogni stanza, acqua corrente, e, alla sera, tre ore di luce al neon: un progresso « enorme » che vi farà sorridere; ma per noi è il massimo comfort che possiamo sognare in questo angolo sperduto del paese.

Fortuna che il clima è fresco e si lavora volentieri.

*
Anche qui è il periodo degli esami; sia per le scuole elementari, (le uniche della zona) sia per
la massa di gente di ogni età che segue i corsi di catechismo.
Diventare cristiani rimane un gesto assai impegnativo e serio, nonostante il successo clamoroso
che la Chiesa ha registrato in Burundi. Chi chiede il battesimo, qualunque età abbia, deve iniziare un corso di Catechismo di 4 anni che lo impegna a fondo due giorni alla settimana. Alla fine di ogni
anno tutti si presentano alla Missione per gli esami, e davvero è uno spettacolo che impressiona: uomini, bambini e ragazze, vecchi, donne sposate con il piccolo incollato alla schiena arrivano a gruppi di 10 o 20 dopo camminate di ore ed ore, superando distanze che farebbero impallidire molti sportivi europei.

Per accelerare i lavori arrischio anch’io a dare una mano. Resto sorpreso dalle risposte assai
precise; e sì che non hanno né libri né quaderni per studiare, ma imparano tutto al volo, ripetendo
centinaia di volte quanto il catechista spiega loro in classe.
Due vecchiette sdentate vogliono convincermi che anche lo Spirito Santo è Dio; quando le con-
gedo con il cartellino della promozione si mettono a danzare di gioia. Poverette. Hanno ancora da fare due anni di scuola e camminano già sbilenche, ma il desiderio del Battesimo le sostiene.

Accanto a me i catechisti fingono un’aria feroce e domande difficili; “Quanti sono gli Dei?”
Tutti sbarrano gli occhi e spergiurano: ” Mungu n’umwe musa” (Dio è uno solo). Non c’è un filo
di dubbio nelle loro parole che esprimono di fatto una convinzione ancestrale ben radicata.
I Barundi sanno che Dio (Mungu- Imana) è unico, ma i limiti delle loro concezioni religiose sono talvolta pittoreschi.

• » •

L’altra sera, verso il tramonto, mentre passeggio con padre Mario recitando il Rosario vedo un
uomo arrivare sul piazzale della Missione con un amico. Tiene in bilico sulle spalle una stuoia arro-
tolata; ha un’aria normale e disinvolta.
Appena ci vede, rimane un po’ incerto con il suo fagotto in mano, se passarlo all’altro o deporlo
in terra… infine parte deciso verso la Chiesa. P. Mario mi spiega: “Preparati ad un funerale”.
– “Ma che dici?”.
– “Sicuro! Quello si è portato il figlio per la benedizione… l’ha messo in Chiesa… andiamo!”.

Intanto l’uomo si è fatto incontro: “Buona sera, padre, vuoi benedire mio figlio?” Gli occhi non sono rossi di pianto e la voce non trema; le mani quasi giunte davanti alla bocca esprimono
solo rispetto e tanta timidezza; forse non vuole disturbare.

Un momento dopo, nella Chiesa ormai oscura, siamo in quattro attorno al corpo del bambino la
cui figura appena si indovina nell’interno della stuoia. Non sappiamo che età abbia, né perché sia
morto; ma non c’è tempo per discutere: prima di notte tutto deve essere finito e la fossa è ancora
da scavare.

Guardo con calma quel povero fagotto grigio come il pavimento. E’ il primo morto che incontro:
un bambino che resterà per sempre senza volto e senza nome. La stuoia vecchia e consumata, non è
nemmeno pulita; il piccolo se n’è servito gli ultimi giorni, al dispensario delle suore; adesso gli è
rimasta attorno, come una fascia troppo stretta.

“Non prendertela – mi dice P. Mario a cerimonia finita – per ora non si può fare di più…
E’ già molto se è venuto a farlo benedire; domani forse l’avrà già dimenticato!.

E’ proprio così.

La morte è qualcosa di funesto che bisogna dimenticare facendo sparire il cadavere e non ripe-
tendo mai il nome del defunto. Il terrore degli spiriti e il pessimismo pagano di fronte al mistero
della morte è troppo radicato anche fra i convertiti al Cristianesimo.

E’ qualcosa più forte di loro.

* *

II mese prossimo voi sarete sparpagliati in tanti angoli di villeggiatura, e ho pensato bene di rimandare a settembre il nostro prossimo incontro. Per quella data potrò dirvi quello che GAM ’12 ha realizzato in questi primi mesi di vita.

Se continuiamo così, state, certi che salterà fuori qualcosa di bello. Non mancate all’appunta-
mento di agosto… saranno i giorni in cui inizierò i primi viaggi da solo nelle succursali più lontane.
Parecchi cristiani aspettano da mesi la visita del Padre!

State bene. Il mio ricordo per voi è fraterno e quotidiano.
Buone Vacanze. Forza GAM. Ciao a tutti. P. Gianni

Topics: '68 - '73 Burundi | No Comments »

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