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Mabayi (Burundi), Estate 1973
By admin | giugno 1, 1973
G.A.M. ’12 UN IMPEGNO EFFICACE AL SERVIZIO DELLA VITA
Mabayi (Burundi), estate 1973
Carissimi amici,
è quasi la fine di luglio e, diminuito un po’ il lavoro pastorale, cerchiamo il tempo di sistemare quello che si era ammucchiato in tanti angoli della nostra vita: corrispondenza inevasa da mesi, lavori che aspettavano il sole, statistiche da aggiornare, progetti che trovano raramente il tempo di essere esaminati con calma durante l’anno scolastico.
I mesi estivi sono preziosi per le costruzioni: l’assenza di piogge permette di sfruttare al massimo la giornata lavorativa. Ma non c’è da distrarsi troppo: l’11 settembre bisogna già essere in riga, pronti al decollo abituale di tutte le attività.
Da anni non avevamo un fratello missionario che curasse un po’ i lavori e tutte le cose materiali della missione. Adesso il Signore ci ha mandato non uno, ma tre amici che ci danno un aiuto preziosissimo.
Luciano, il volontario valtellinese, già lo conoscete, da Natale ha preso in mano la Cooperativa Agricola di produzione e consumo che raggruppa centinaia di giovani e famiglie.
Non ha mai maneggiato tanti soldi e non ha mai viaggiato tanto in vita sua. Scende a Bujumbura fino a due volte la settimana, con caffè, piselli e banane; ritorna carico di birra, viveri, stoffe e altra roba sempre più bella e sempre più abbondante. La gente osserva e comincia a capire come impiegare bene i soldi e vendere meglio i loro prodotti.
Adesso un brutto incidente ha bloccato il Camion, ma Luciano continua imperterrito con la Toyota della Missione. E’ sempre in viaggio. Una volta, al tempo dei disordini, i soldati l’hanno fermato: l’avevano preso per un mercenario: per evitare altri spiacevoli equivoci ha dovuto tagliarsi i lunghi capelli e un po’ di barba!
Anche Cesare e Antonia sono ormai di casa: una giovane coppia milanese che da tempo aveva gustato la bellezza dei campi di lavoro estivi di «Africa 70». Poi hanno deciso divenire più a lungo a darci una mano: ci sono riusciti, dopo vari tentativi e non pochi sacrifici.
Adesso sono contenti.
Cesare è per gli operai un amico e una guida sicura nei lavori.
Antonia ha ricevuto in questi giorni una bella macchina per fare maglie. Abbiamo in ballo un bel progetto. Questa macchina donataci da «Africa ’70», può lavorare sia il cotone sia la lana: per chi se ne intende si tratta del numero 12. Guardatevi attorno e parlatene agli amici; andate a scovare più matasse che potete, tenetele pronte in casa e poi vi dirò come fare per farcele avere. Non importa la qualità o il colore: basta un filato, lana o cotone, che si possa lavorare con questa macchina numero 12!
Vorremmo fare cose belle: ci sono centinaia di bambini che non sanno ancora cosa vuol dire mettersi addosso per pochi giorni una maglietta pulita. E’ uno degli ultimi progetti in lista; poi, a dicembre, rientrerò in Italia. E’ arrivato il mio sostituto, P. Elio Boscaini, dopo lunghe peripezie in Rwanda, insieme alla lettera del Superiore Generale che mi avverte chiaramente di essere disponibile e agli ordini.
Per accelerare il mio rientro e quello di altri amici, avevano inviato un Provinciale, con lo scopo preciso di prelevarci: poi si sono accorti che non è bene rapire i padri dalle missioni senza prevedere chi prenda il loro posto.
Sono con noi gli Amici di «Africa ’70» che ci danno una mano a rifare il tetto del grande Internato dei Yaga Mukama.
Contemporaneamente mettiamo a posto una scuola qui in missione, e il pavimento della Chiesa di Kirehe. Tra un lavoro e l’altro questi giovani hanno tempo di osservare la nostra vita e quella della nostra gente: chissà che qualcun’altro, come Angelo, Cesare e Luciano hanno già fatto, non decida di buttarsi al loro servizio per un tempo più lungo.
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Abbiamo vissuto questi ultimi mesi con il cuore sospeso, nel timore che i disordini razziali riprendessero con nuova violenza. Adesso le cose sono calme; ma c’è in ballo una specie di braccio di ferro con la Tanzania. Se la mediazione del Presidente Mobutu non riuscirà a rimettere d’accordo Micombero e Nyerere, fra poco non avremo più sale né farina né combustibili.
Nel grande porto di Dar es Salaam, sull’oceano Indiano, stanno ammassate migliaia di tonnellate di merce diretta al Burundi; ma tutto è bloccato da alcune settimane, a causa di pasticci alle frontiere tra i soldati tanzaniani e l’esercito del Burundi.
A un anno di distanza dalla rivoluzione fallita, i fuorusciti si sono rifatti vivi con intenzioni minacciose, senza però essere abbastanza preparati. Provenienti dalla Tanzania hanno attaccato nel Sud del paese: sembra che un campo militare sia caduto nelle loro mani.
Poi hanno tentato un colpo di mano nella zona est; ma tutto è finito male a causa di malintesi e invidie. Ai primi di luglio hanno ritentato; forse senza rendersi conto di quanto seria sia una rivoluzione e quanto debbano essere disposti a soffrire. I fuorusciti ammassati nel Rwanda, Zaire e Tanzania sono moltissimi Ma nessuno conosce le loro vere intenzioni. Del resto non è facile. Le notizie qui sono come nuvole che corrono, e si deformano continuamente passando di bocca in bocca. Si sa subito tutto, ma in modo confuso ed emozionale; è rischioso credere a quello che si sente dire senza poterlo verificare.
Anche noi abbiamo passato un brutto quarto d’ora verso la fine di maggio. Erano giorni tesi. La Radio nazionale non diceva quasi nulla degli avvenimenti sanguinosi e della repressione nel Sud del Paese. Al contrario l’emittente Rwandese martellava tutto il centro Africa con le sue filippiche contro i Governanti Barundi: erano accuse feroci lanciate contro il regime di Micombero, responsabile dei crimini commessi l’anno scorso.
Da Bujumbura arrivavano voci di arresti e uccisioni.
Dai paesi confinanti filtravano notizie di prossimi attacchi dei ribelli: tutto in un’atmosfera assai strana. Bastava un nulla: e la situazione avrebbe potuto precipitare.
La vigilia dell’Ascensione una macchina arrivò a Mabayi nel tardo pomeriggio. Era un giorno di mercato; e molta gente la vide e ne seguì le mosse. C’erano dentro tre individui in borghese; si seppe poi che erano della polizia segreta. Appena scesi si diressero agli uffici del Comune e chiesero del Segretario, un giovane molto conosciuto e figlio di un saggio capo collina. Davanti all’amministratore esterrefatto, gli intimarono di salire in macchina: «Deve farci dei rapporti sul partito; tornerà presto… non abbiate paura, noi lavoriamo per la giustizia».
Avevano troppa fretta di tornare a Bujumbura; non accettarono neppure un bicchiere di birra.
Era già il tramonto; ma la notizia corse su per le colline portata da centinaia di bocche. A sera tutta la valle era già all’erta. Di colpo era tornata la paura dell’anno scorso, quando i soldati venivano e rapivano la gente a tradimento. Nel giro di poche ore molti si tennero pronti a fuggire in Rwanda.
Passò la notte nel dubbio.
Di buon mattino, insieme all’amministratore ci recammo dalle Autorità provinciali a chiedere spiegazioni. Forse fu quella mossa provvidenziale a evitarci il peggio: infatti, il Commissario del Distretto non sapeva nulla e ci portò subito a Bubanza dal Governatore.
Dapprima finsero di non dare importanza all’affare.
Telefonarono a Bujumbura. Il nostro amico era nelle mani della Polizia segreta: «Lo stanno interrogando a causa di una lettera strana di cui deve rispondere. Non è solo lui: altri due sono stati arrestati! Lasciate fare alla giustizia; state calmi».
Ma noi sapevamo bene cosa volessero dire quelle frasi.
Eravamo preoccupati e lo dicemmo chiaro al Governatore: «Se il giovanotto non torna a casa le cose potrebbero mettersi molto male; e sarà difficile che la gente possa ancora credere alle vostre parole di pace! Pensateci bene».
Restammo fino a sera tarda per strappare loro un’assicurazione qualunque, un segno di buona volontà. Ma niente.
Tornammo a Cibitoke col cuore amaro e passammo un’altra notte di ansia.
Il giorno seguente quando stavamo per risalire a Mabayi, avvenne il miracolo. Luciano, con il camion della Cooperativa arrivò da Bujumbura tutto contento: «Sono qui, liberi!».
Sembrava impossibile. Ci abbracciarono in silenzio con gli occhi ancora sbarrati dal terrore. Poi via subito a casa dove ci aspettavano preoccupati. La gioia della gente, il ritorno dei fuggiaschi, la ripresa delle scuole e dei lavori hanno pian piano cancellato la grande paura.
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Spero che questa lettera vi trovi in forma, e vi confermi l’affetto che ci lega pure a così grande distanza. State bene, e fate buone vacanze.
Ciao a tutti. Grazie.
Vostro p.Gianni
Topics: '68 - '73 Burundi | No Comments »
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